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Storia del tè in Occidente

Compagnia Indie Orientali olandese 1762

Abbiamo già scritto della storia del tè in Giappone e a Taiwan, quindi proviamo un po’ a comporre le tracce che portano alla diffusione della bevanda in Occidente.

Siamo soliti collegare il tè in Europa con la Gran Bretagna. In effetti, la bevanda si diffuse molto velocemente prima tra le classi più ricche del Regno di sua maestà, poi nelle colonie americane, diventando l’emblema dell’inizio della Rivoluzione Americana (conosciuto come l’episodio del Boston Tea Party).

Tuttavia, il tè è arrivato e si è diffuso per primo in Olanda, non in Inghilterra. Nonostante le prime foglie siano arrivate a Lisbona probabilmente grazie ad un monaco portoghese, la prima importazione registrata di tè, infatti, è un carico arrivato in Olanda dal Giappone nel 1606. La prima importazione inglese registrata è invece datata 1658. Dunque, è molto improbabile che Shakespeare (morto nel 1616) abbia mai bevuto una tazza di tè, mentre avrebbe avuto maggiori probabilità di berla con se fosse vissuto in Olanda.

Il Portogallo era l’altra nazione europea nella quale l’aristocrazia aveva cominciato a consumare tè, ed è tradizionalmente attribuito alla principessa portoghese Caterina di Braganza il merito di aver introdotto l’usanza del tè pomeridiano nella corte inglese dopo il matrimonio con Carlo II.

Nonostante questo, re Carlo II si oppose alla diffusione del tè, tentando di vietarne il consumo nelle case private con il curioso obiettivo di contrastare la sedizione. Inoltre, imponendo dazi altissimi sull’importazione, garantì il controllo totale degli olandesi sul mercato del tè.

Il tè e il contrabbando

Il tè è in questo periodo una bevanda costosissima: un chilo di foglie di tè può costare fino a 6 mesi di salario medio di un lavoratore inglese. La domanda va tuttavia crescendo dall’inizio del 700, nonostante una tassazione altissima che serve spesso a finanziarie le guerre nelle quali è impegnato il Regno Unito.

In una situazione del genere, comincia a prosperare il contrabbando, che garantisce una fornitura di tè a prezzi più ragionevoli e creando un giro d’affari vertiginoso. Alcuni stimano che circa il 70% del tè consumato in Inghilterra fino alla fine del 700 fosse entrato nel Paese illegalmente. Solo quando, nel 1784, il dazio sull’importazione fu ridotto dal 119% al 12,5%, il contrabbando di tè si esaurì rapidamente.

Il commercio di tè rappresentava un giro d’affari da svariati miliardi di euro (a valuta corrente), e muoveva interessi criminali paragonabili a quelli mossi attualmente dal traffico internazionale di droga. Dimenticate la nonnina inglese che beve il tea with milk in salotto, il tè era nel 700 qualcosa che parlava di interessi criminali e violenze.

Famoso a tal proposito un episodio accaduto nel 1747. Gli ufficiali della dogana sequestrano alla Banda di Hawkhurst un carico di due tonnellate di tè. In risposta, circa 60 contrabbandieri armati attaccano i magazzini della dogana riconquistando il carico perduto.

La banda spadroneggiavano nella zona costiera meridionale inglese, tra violenze e vendette efferate. Hawkhurst era forse un caso estremo, ma non certo un’eccezione. Il contrabbando di tè era un giro d’affari immenso.

La concorrenza tra i fornitori di tè legali e di contrabbando era piuttosto intensa. La portata del contrabbando e il fatto che la maggior parte della popolazione non lo riconoscesse come un crimine, portò ad una certa commistione tra settore pubblico e privato, con tangenti e corruzione che coinvolgevano ampi strati della pubblica amministrazione.

La popolazione era quasi sempre dalla parte dei contrabbandieri: di 38 procedimenti penali condotti in un anno a Boston, solo due si conclusero con una condanna. I giudici inglesi, inoltre, nei casi un cui non potevano far altro che condannare un contrabbandiere e confiscare la sua nave, erano soliti incamerare la proprietà confiscata per poi rivenderla al contrabbandiere per una piccolissima percentuale del suo valore reale.

C’erano naturalmente persone che avevano fatto fortuna attraverso il contrabbando di tè. Il caso più incredibile è quello di John Hancock, uomo dal patrimonio immenso e persona di primo piano al tempo dell’indipendenza delle tredici colonie dall’Impero britannico. Egli fu presidente del Congresso e primo governatore dello stato del Massachusetts, oltre ad essere ricordato per la sua ampia ed elegante firma in calce alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti.

Ebbene, John Hancock, che finanziò il “caucus” che organizzò la provocazione del Boston Tea Party (unanimemente individuato come il casus belli che portò all’indipendenza americana), era con ogni probabilità un contrabbandiere di tè. Secondo alcuni storici, Hancock avrebbe avuto un discreto conflitto di interessi in merito. La Compagnia delle Indie Orientali aveva infatti avuto l’autorizzazione per vendere il tè nelle colonie americane senza dover pagare alcun dazio al Regno Unito. Autorizzazione che avrebbe messo in serio pericolo gli affari dello stesso Hancock.

Hancock era ad un certo punto in procinto di essere nominato comandante dell’Esercito Rivoluzionario al posto di George Washington. È intrigante immaginare un contrabbandiere come comandante in capo di un esercito.

L’Olanda e il commercio del tè

Gli olandesi hanno fornito fino al 700 la maggior parte del tè venduto in Occidente, compreso quello di contrabbando. La Compagnia delle Indie Orientali Olandesi firmò il primo contratto per l’importazione in esclusiva del tè proveniente da alcune aree geografiche del Giappone, e nel 1684 creò delle piantagioni a Giava utilizzando semi giapponesi.

Quando le prime figlie di tè arrivarono in Inghilterra, la bevanda era già molto popolare in tutte le locande e le osterie olandesi.

Un’eredità lasciataci dal monopolio olandese è l’Orange Pekoe. Questo è il primo sistema di classificazione delle foglie del tè impostosi alla fine del 1800 per classificare i tè indiani e Ceylon. La parola Orange non ha nulla a che vedere con l’arancia, ma è invece riferito alla famiglia regnante olandese.

Contrabbando e adulterazione

Mentre la domanda di tè cresceva in Europa, l’alto costo delle foglie (dovuto anche alla tassazione) incoraggiava l’adulterazione e la falsificazione.

In Cina era normale che i produttori aggiungessero sostanze chimiche velenose per migliorare il colore delle foglie di tè, come il carbonato di rame e il cromato di piombo. I contrabbandieri aggiungevano invece sterco di pecora, ramoscelli, foglie usate e comune spazzatura raccolta presa dai pavimenti del magazzino. Altre sostanze utilizzate per adulterare il tè erano foglie di liquirizia, salice e prugnole. Sembra che la dilagante adulterazione del tè verde sia stato uno dei motivi che ha spinto i consumi inglesi verso il tè nero.

Il tè più popolare all’epoca era il cosiddetto bohea. Era fatto con tutti i pezzi di scarto: foglie rotte, ramoscelli e polvere derivante dalla lavorazione. I pezzi migliori venivano venduti in foglie sciolte, mentre la rimanenza veniva compresso in blocchi (o “mattoni”). Per comprendere a fondo il livello qualitativo di questo tè, basti pensare che il termine bohea in inglese è anche utilizzato per identificare l’immondizia comune.

Il monopolio inglese sui traffici di tè

Una volta alleggerito il carico fiscale sulle importazioni di tè, la qualità del tè europeo migliorò molto, mentre gli olandesi perdevano gradualmente il loro ruolo di monopolisti sui commerci mondiali di tè, anche a causa delle guerre perse contro gli inglesi.

Un altro grande impulso al consumo di tè si è avuto nel 1834, con la fine del monopolio della Compagnia delle Indie Orientali sul commercio del tè con la Cina. Fino a quel momento, la gran parte del tè importato in Gran Bretagna veniva dalla Cina, ma la fine del monopolio spinse la Compagnia delle Indie Orientali a valutare la coltivazione del tè in India.

Nonostante alcune false partenze, come alcuni raccolti distrutti dal bestiame, nel 1839 vi fu sufficiente produzione di tè di “qualità commerciabile” per battere la prima asta del tè Assam in Gran Bretagna. Nel 1858 il governo britannico assunse il controllo diretto dell’India estromettendo la Compagnia delle Indie Orientali, ma la nuova amministrazione era altrettanto desiderosa di promuovere l’industria del tè, e le aree coltivate si ampliarono anche al di fuori della regione dell’Assam. Fu un grande successo: le importazioni di tè indiano crebbero al punto da superare, nel 1888, le importazioni di tè proveniente dalla Cina.

La fine del monopolio della Compagnia delle Indie Orientali sul commercio con la Cina ebbe anche un altro risultato: spinse singoli mercanti e capitani a commerciare tè e a inserirsi nel mercato, offrendo trasporti sempre più veloci grazie ai velieri Clipper.

Si sviluppò una feroce competizione, molto popolare e seguita da tutti i giornali inglesi dell’epoca, tra i diversi equipaggi e le diverse compagnie di navigazione che diede origine a quella che venne chiamata la Great Tea Race. Questa competizione avveniva sulla rotta di 15.000 miglia (27.780 km) tra Shanghai e la Gran Bretagna e veniva vinta dalla prima nave che giungeva in porto in Inghilterra. Inizialmente il record era di 113 giorni di traversata che successivamente, nel 1866 venne portato a 90.

L’epoca d’oro dei Clipper si esaurì con l’apertura del Canale di Suez (1869) che le navi a vela non potevano percorrere. Nel 1870 il numero di vapori circolanti superò per la prima quello di velieri.

Il tè: un’abitudine inglese

Nel 1851, quando praticamente tutto il tè in Gran Bretagna proveniva dalla Cina, il consumo annuale pro capite era inferiore ai 900g. Nel 1901, alimentato dalle importazioni meno costose dall’India e dallo Sri Lanka (allora chiamato Ceylon) questo era salito a oltre 2,5 kg pro capite.

Il tè era entrato saldamente a far parte dello stile di vita britannico. Questo fu riconosciuto ufficialmente durante le due guerre mondiali, quando il governo riprese il controllo dell’importazione di tè in Gran Bretagna per garantire che questa bevanda, fondamentale per il morale dei sudditi, continuasse ad essere disponibile ad un prezzo accessibile.

Nel 1952, dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu riaperta l’asta del tè di Londra, un’asta regolare che si svolgeva dal 1679. L’asta era il centro del commercio mondiale del tè, ma il miglioramento delle comunicazioni a livello mondiale e la crescita delle aste nelle nazioni produttrici di tè portarono ad una graduale perdita di importanza dell’asta londinese nella seconda metà del XX secolo. L’ultima asta londinese del tè si è tenuta il 29 giugno 1998.

Una nuova rivoluzione: la bustina

In corrispondenza con il declino dell’asta del tè, un elemento essenziale nel consumo moderno di tè venne alla luce: la bustina per il tè . Le bustine sono state inventate in America all’inizio del XX secolo, ma le vendite sono decollate in Gran Bretagna solo negli anni ’70. Nonostante molti farebbero fatica a immaginare un tè senza la sua bustina, l’introduzione di questo elemento è piuttosto recente, e, nonostante la fine degli imperi coloniali, dimostra ancora una volta la vitalità del mercato mondiale del tè.

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